ANDREA BAFFONI

L’estetica post-umana di Massimiliano Luchetti

Nell’ottica di una lettura dai contorni post-umani, l’opera di Massimiliano Luchetti manifesta tutte quelle coordinate che concorrono a un’efficace contestualizzazione di genere, tenendo ben presente come, più o meno da metà degli anni novanta, parte dell’immaginario creativo si è radicato nell’immedesimazione di scenari fantascientifici i cui contorni mostravano una sempre più marcata tendenza alla traduzione nella realtà.
Scorrendo le pagine di passati cataloghi, se ne ricava un itinerario espressivo ben radicato nella pittura, dal quale l’artista gradualmente si è allontanato pur mantenendo saldi certi connotati di base. In particolare ci si riferisce alla progressiva perdita dell’immagine raffigurata a favore di una sempre più convinta immedesimazione del soggetto. Quello, cioè, che un tempo appariva come interpretazione informale delle energie materiche, diviene oggi una contaminazione tra elementi eterogenei. L’informale che troviamo nelle opere del 2016 e che scopriamo derivare da ancor più primitivi approcci pittorici verso rappresentazioni quanto mai realistiche diviene oggi quella “meta-forma” con cui abbiamo denominato parte dell’installazione presentata in luglio presso lo spazio espositivo Caravanserraglio di Cortona e successivamente tradotta, in parte, nella mostra Era nostra presso Fossato di Vico, in Umbria. Mi riferisco dunque al dialogo tra elementi metamorfici dove la relazione tra materia e luce proietta lo spettatore nel mistero stesso della trasformazione organica.
Mettendo da parte inutili giri di parole, voglio specificare come l’ideale artistico di Luchetti appaia assimilabile ad un’efficace visione simbolico-metafisica orientata nell’esprimere al meglio la trasformazione biologica e culturale oggi in atto. L’essere alieno che campeggia al centro dell’installazione, adagiato su un letto come d’ospedale e circondato da finestre luminose in cui appaiono aloni di sostanze gelatinose, comunica da subito l’ingresso nella dimensione laboratoriale di moderni alchimisti della genetica. Una sequenza di tute bianche sterili, un tavolo ricoperto da provette, flaconi, contagocce e recipienti per sostanze dai più diversi colori, non sembrano poi così distanti dalla nostra quotidianità. L’ospedale, la sala operatoria, il laboratorio per analisi denotano le caratteristiche di un’epoca soggiogata dalla scienza, benché nella maggior parte dei casi non se ne accorga nessuno. E la scienza è oggi anche il paradigma di molti artisti, in particolare quelli della generazione cresciuta nel corso degli anni Ottanta, come nel caso di Luchetti, e maturata nel decennio successivo quando tematiche come la clonazione, la cibernetica, la realtà virtuale, ma anche la ricerca della vita aliena (nel 1992 nasceva il MOP, Microwave Observing Program, con cui il governo statunitense finanziava un progetto del SETI per la ricerca di intelligenza extraterrestre) divenivano ordinaria amministrazione di una società sempre più tecnologica e sempre più distante dai tradizionali processi biologici dell’organismo umano.
Oggi, dove anche i cyborg sono realtà (nel 2004 l’artista inglese Neil Harbisson è stato ufficialmente considerato dal Governo appartenente al genere cyborg e così dichiarato nel documento d’identità), appare evidente come quel processo iniziato nella Toscana manierista del XVI secolo, fatta di alambicchi e scienziati-stregoni dediti alla ricerca della pietra filosofale, maturato poi in epoca romantica con la pubblicazione del Frankenstein di Mary Shelley (1816) e infine alimentato dalla fantascienza del novecento, debba necessariamente portare gli artisti a sondare, con la creatività, i limiti della ricerca tentandone l’inevitabile sorpasso in virtù di ipotetiche nuove frontiere.
Questi traguardi li troviamo proprio nell’opera di Luchetti sotto forma di contesti ambientali. L’artista dimostra di aver compreso la lezione spazialista di Lucio Fontana, relativa al superamento della bidimensionalità in favore di una convinta acquisizione del luogo stesso, e con essa la dimensione installativa che determina l’inglobamento dello spettatore nell’opera. Dimostra inoltre di aver superato il carattere bidimensionale della pittura pur mantenendo fede a quella ricerca estetica di fondo, tutto ciò esprimendo i contenuti dell’epoca attuale, con le sue aberrazioni e il suo fascino nascosto tra i meandri della tecnologia.
Oggi Luchetti è un artista pienamente inserito nel proprio tempo, capace di generare bellezza pur affidandosi a elementi di discutibile fascino. Un artista dal solido temperamento espressivo che riesce a tradurre in forma compiuta le ossessioni del presente e con esse le angosce o gli slanci di entusiasmo. Cosa ci attende in futuro? Osservando l’opera di Luchetti riusciamo a farci un’idea, e forse ad anticiparlo, e questo, come più volte avvenuto in passato, è un traguardo che solo i veri artisti sanno raggiungere.


FRANCESCA BOGLIOLO


“Gli alberi sono le colonne del mondo, quando tutti gli alberi saranno tagliati il cielo cadrà sopra di noi.” (Antico proverbio Sioux)


È un lavoro che attraversa la materia, quello effettuato da Massimiliano Luchetti sulle sue tele. È uno scontro fisico che, pur richiamando alla mente la volontà Gutai di dipingere con il tempo e lo spazio, la reinterpreta secondo una cifra stilistica del tutto personale che sembra rimandare alla necessità di ricerca interiore dell’artista, incessante e in continua sperimentazione. L’agire si fonde con la competenza tecnica, in un fare inconscio che manifesta sulla tela le più intime verità e contemporaneamente palesa l’inscindibile legame dell’uomo con l’universo. L’opera, realizzata a terra, permette la visione su tutti e quattro i lati, in una dinamica che già nelle proporzioni appare legata alla natura e ai suoi ritmi materni. In un incedere che ha del rituale l’artista copre, lascia depositare, ricopre, individua, rimuove, definisce. Sulla tela, così come nella memoria, gli strati mantengono e rivelano una vita nascosta, brulicante, segreta, che si sovrappone metaforicamente sia ai processi naturali, sia alla personalità di Luchetti, riservato e instancabile investigatore della bellezza. Il procedimento è sempre solitario, meditativo, sciamanico. L’estetica viene interiorizzata e rielaborata attraverso un’evoluzione estatica che permette di indagare a fondo il senso della vita e dell’arte. La spiritualità mediata dal gesto artistico permette attraverso le forme la rivelazione della verità, che si affaccia da tappeti densi di colore agglomerato. La tensione verso l’oltre si manifesta a livello visivo: lo sguardo indugia sui reticoli formati dalla frammentazione di una materia viva, che incedendo sul supporto traccia la sua strada all’interno di un costrittivo horror vacui. La necessità di respiro genera veri e propri labirinti emotivi, intrecci di rami pittorici da cui intravedere la sostanza eterna della volta celeste. Manifestazioni di una tensione che pervade la tela e la persona, le opere di Luchetti risultano cariche di fascinazione emotiva, simili ad alberi che sostengano una volta di intaccabile speranza. L’astrazione ottenuta regala un effetto percettivo simil totemico: dalla terra su cui sono realizzati alla parete su cui vengono appesi gli Untitled e i Monocromi binari vanno incontro a un procedimento di elevazione che è identitaria e simbolica insieme. La lezione tramandata da Luchetti è antica e fondamentale. L’uomo può, e deve, guardare dentro se stesso per arrivare a perdersi nel cielo.


ADRIANA CONCONI FEDRIGOLLI

Materia Pittorica Dell'Anima

Percorrendo la produzione pittorica di Massimiliano Luchetti si comprende il possente percorso di ricerca che ha maturato in questi anni mantenendo, pur nel mutamento espressivo sia da un punto di vista tecnico che formale, una sua spiccata e inconfondibile individualità. Luchetti nei suoi “viaggi” pittorici in luoghi reali e ideali, viaggi mentali percorsi dall’artista in prima persona, in cui silhouette di figure, di elementi architettonici, di velieri, di croci e altri soggetti vengono assorbiti dalle energie vitali e vivificatrici di ciò che li circonda, riesce con la pennellata o la spatolata sicura ad introiettare se stesso e i suoi mondi infiniti, non sempre, volutamente, espressi in maniera completa, che turbinosamente animano la sua mano. Nel 2013 l’artista inizia a proporre opere numerate dal titolo Mappe e questo può essere inteso come un primo segnale di ciò che verrà a seguire. Nei “viaggi”, che Luchetti proponeva all’osservatore attraverso la tela, l’interiorità profonda dell’artista si affiancava ad un tema. Il pittore sente fortemente il bisogno di esprimere unicamente se stesso, il suo profondo sentire e le emozioni che dilaniano la sua anima, dunque nel periodo di passaggio sembra quasi che consegni al fruitore le Mappe per dei “viaggi”, nei quali Luchetti non parteciperà più in prima persona. Ed ecco tra il 2014 e il 2015 la svolta, intensamente meditata, in cui il soggetto delle opere diventa unicamente lo scandaglio interiore, a tracce lacerante, dell’anima dell’artista. La stessa tecnica utilizzata già presente nelle opere precedenti in cui si assiste ad una costruzione e de-costruzione della materia pittorica assurge ad essere parte integrante e insostituibile. Luchetti stende uno strato di colore, attende che si asciughi e con un spatola toglie ciò che risulta in eccesso, ciò che si frappone tra sè e l’espressione di sè. Questo processo lo continua, lo ripete senza interruzione fino a quando sulla tela rimane o meglio appare, quasi come una visione, quello che l’artista sente e desidera trasmettere. Un processo di costruzione e de- costruzione o perchè non dire un processo di creazione autentica, in cui è necessario togliere ciò che ostacola la sintesi intellettuale perseguita dall’artista. Trattandosi di moti interiori Luchetti sceglie di non dare più un titolo descrittivo, ma semplicemente di numerare le sue tele. Opere che colpiscono, che affascinano nella visione sia per le scelte cromatiche in parte desuete, ma efficacissime, sia per la resa materica in cui appaiono reali e tangibili le profonde increspature dell’anima, accentuate da una sorta di desquamazione del tessuto pittorico. Le opere parlano da sè in ogni sua singola parte: le parole spesso sono contenitori troppo deboli e inadatti per essere referenti dei sentimenti ed è opportuno fermarsi e rimanere a osservare.

TIZIANA TOMMEI

Ombre

Non c’è nulla di immediato nell’opera di Massimiliano Luchetti. Non c’è stasi o un porto tranquillo dove attraccare. Se ti trovi di fronte ad una sua tela non ti puoi nascondere e capisci subito che scappare non servirebbe a salvarti. Una tecnica lenta e riflessiva, fatta di velature successive, stratificazioni sovrapposte, abrasioni e sottrazioni, che rappresenta il medium ideale per il passaggio in una dimensione, quella della pittura, in grado di riflette sulle proprie capacità di mettere in scena verità più forti di quelle comuni. Cavalieri, relitti, isole, fortificazioni, terre inesplorate, mondi che appartengono ad un passato remoto, indefinito. Soggetti che perdono consistenza, sfumano e appaiono come fantasmiche presenze sospese nel vuoto. Il mondo che Luchetti costruisce e destruttura sulla tela non può avere contorni netti e figure delineate, perché non rappresenta una dimensione onirica in cui quello che si sogna ci appare più vero del reale e quasi tangibile. Egli da forma ad un’elaborazione mentale del sé. Crea, mediante il suo lavoro, una zona di passaggio, un limbo. Non luoghi ultraterreni, ma realtà palpabili, che possiedono un proprio peso specifico, occupando un’area di sviluppo attraverso la quale invadere lo spazio. I suoi dipinti sono anime carnali, dotate di vita propria e, allo stesso tempo, di una fisicità concreta, data, visibile. Lo provano il rumore della tela dispiegata sulla superficie del pavimento e l’odore forte della pittura. Ma è maggiormente il non detto, il celato e ciò che muta con il tempo e lo spazio a renderle esseri a sé stanti. Assorbono il riguardante in un vortice di sensazioni da metabolizzare lentamente. Accompagnano in un’esperienza totalizzante – basta osservarle per provare qualcosa di nuovo, unico, non banale, che conduce oltre la pura visione. Il pittore non restituisce ciò che vede e le sue opere non derivano da una sorta di abbandono dei sensi di fronte al reale. Al contrario, esse costituiscono tappe di un iter interiore, squisitamente mentale, cerebrale. Provocano un senso di vertigine, e appaiono come visioni che trascendono l’hic et nunc, trasportando verso l’ignoto. Non danno certezze o punti fermi a cui appellarsi. Mettono in scena ombre di figure e oggetti desunti dal vocabolario figurativo dell’artista, che nei lavori più recenti procedono inesorabili verso l’astrazione, traducendosi in proiezioni di un mondo reale inteso come pura finzione.

NICOLA MICIELI

Su un dipinto a schermo panoramico e, in estensione, sulle visioni sospese,
i prefigurati misteri della metafisica immanente di Massimiliano Luchetti
Un addensarsi bruno e indistinto di formicolanti presenze all’orizzonte, avamposto d’orda barbarica o postazione di milizie mercenarie. Così mi appaiono e tali le intendo-ma senza plausibile ragione, se non la loro inqualificata identita'-seppure parli di esercito, e non le connoti, il titolo del dipinto di Massimiliano Luchetti sul quale mi soffermo in assorta riflessione. E’ un assembramento di astanti irti di picche e vessilli innastati, unici acuminati vettori che si riconoscano quali possibili protesi predisposte all’offesa, nella scena orchestrata con turneriano tempestare di segni pittorici ognuno in se' luminoso, in variazione cromatica dalle terre bruciate ai violacei ai rossi e gialli, nella grandiosa manifestazione atmosferica-alba o tramonto-rappresentata con intero il sentimento romantico del sublime della natura. Chiamo assembramento di astanti la folla che Luchetti convoca e raduna sulla tela. In realta' non saprei se giudicarli armigeri in attesa di entrare in azione o se gia' in moto verso lo scontro, e in questo caso non sia che polvere da loro sollevata la caligine che li permuta in sospettabile massa. Probabile che il corteggio delle figure sia stato concepito per abitare la soglia, che il pittore le colga al varco tra l’esserci e l’estinguersi. Non sono ectoplasmi o creature del sogno, che svanirebbero con l’interruzione del contatto mediatico o con il risveglio, ma certo nella sfera del visionario paranormale e onirico potrebbero facilmente defluire, se appena il pittore ne distorcesse l’ottica sulla scia di Turner, di Bocklin, di Redon, per dire di appartenenze simboliste nelle quali Luchetti potrebbe agevolmente collocarsi, a un’eventuale sua scelta di ulteriore slittamento del linguaggio pittorico e figurale. Intanto i suoi astanti, e ogni altra presenza di minima ma pur compiuta corporeita' certo resa lillipuziana dalla vastita' del paesaggio, si mostrano come anticipazioni, sorta di alfieri delle future persone, delle storie per esse predisposte e degli accadimenti possibili sino al compimento dei loro destini. Tutto e' dato in potenza, dunque in procinto di accadere, se la leggiamo albicante la temperatura cromatica e il clima dell’ora; oppure, adottando l’ipotesi complementare che rovescia il percorso, tutto e' stato consumato nella storia, e sta appunto per annichilirsi con le luci affocate del tramonto, forse per rigenerarsi in nuova potenza. Per il clima sospeso di questa visione, non si puo' non pensare al fatidico evento temuto e agognato, nella cui attesa si consumano le vite dei militari assegnati alla fortezza avamposta del Deserto dei tartari di Buzzati, e che Alba Romano Pace fissava, riferendosi agli iterati, sempre intensi climi d’attesa dei dipinti di Massimiliano Luchetti, con una inimitabile immagine verbale: l’ignoto imminente. In questo senso, manifestandosi sia pure in nuce alla presenza e alla vita, quali larvali creature o segni indiziari di cose e situazioni, queste figure embrionali mantengono una irresolvibile ambivalenza,poiche' in termini eguali e contrari sembrano annunciare l’assenza e la morte. Il controluce che svela la schiera irsuta degli armati, e i loro presumibili cavalli e le armi visibili e forse il corredo dei marchingegni bellici, spande una luminescenza della quale si ingrigia fino al proscenio il terreno irregolare. Con gli armati disposti lungo un fronte che attraversa da parte a parte l’inquadratura, dissolvendosi ai margini, il controluce localizza il crinale dell’immenso altopiano, in uno con l’orizzonte che altrimenti non sapremmo rilevare. Sarebbe assorbito e forse del tutto dissolto, il limen pur vago e mobile dell’orizzonte, se non vi fosse quel riverbero d’ombra nell’accensione trancolorante dello schermo panoramico. Mancherebbe un qualsivoglia riferimento spaziale, anche solo un’idea di una distanza in qualche modo percorribile, di una estensione riconducibile alla gittata del nostro sguardo preso di meraviglia alla spettacolare apparizione, nell’animo l’insinuazione di un sospetto, una vaga inquietudine se non un allarme. Difficile non avvertire una latenza, non prefigurare un evento perturbante, in questa apertura visionaria dismisurata gia' per la vastita' percepibile, ancor piu' per l’illimite generato dalla sonda dell’immaginario, che ama il viaggiare sotterraneo o aereo, comunque in dimensioni altre e parallele. Pare il preludio a un leopardiano naufragio nell’infinito. Oltre la soglia della siepe sul colle di Recanati, si schiudono al veleggiare del solitario poeta interminati spazi e sovrumani silenzi e profondissima quiete. Come dire la dimensione rarefatta e imperturbabile dell’essere. La siepe e' cortina necessaria a distrarre i sensi e la mente dal rumore del tempo e della contingenza mondani, fino a che lo stormire del vento tra le fronde non li richiami all’hic et nunc , alla stagione presente, ma come consolati con la memoria del tempo. Nella visione del pittore il rapimento e la deriva si compiono in uno spazio certo indeterminato e dissolvente, pero' saturo di materia finemente impastata, che deposita tocco a tocco, fibra a fibra, velo a velo intessendola in una partitura di concertazione tonale, nella quale appena si rilevano i minuti interventi, ed un vibrato diffuso intriso di sensi sommersi, come un fuoco che brucia lento e senza fiamma, filtrando dall’imo a riflesso non appariscente di intimi sommovimenti dello spirito. Viaggiando nella micro-orografia e nella stratificazione della materia pittorica, la sonda del nostro sguardo immaginario attraversa la sostanza carnale del vissuto, per cui l’immagine dell’Esercito qui indagata, e ogni altra da Luchetti registrata nel catalogo delle sue non “ingenue” ma intuitive visioni, appare una pagina di un diario intimo, la memoria di una sensazione e di un’emozione vissute al cospetto della natura, così dense e pregnanti da permutarsi in contemplazione estetica e in riflessione esistenziale. Ecco, uno spessore del vissuto, una vibrazione esistenziale, appunto, distingue le visioni di Luchetti da ogni altra evocazione romantica e simbolica del viaggio umano nell’indeterminato e nel grandioso della natura. Quel sedimento fervido di materia vivente induce a considerare i suoi climi di attesa degli accadimenti come una sorta di interrogazione del mistero, una sorta di metafisica immanente, dello sguardo e dell’emozione alla scaturigine degli atti, che comporranno la catena della storia biologica e culturale dell’uomo.

FRANCESCO MUTTI

Viaggi

Massimiliano Luchetti non e' un sognatore. Affatto. Piedi ben piantati a terra e lo sguardo attento, scruta paziente la stanza mentre riflette su ogni suo gesto. Su ogni sua parola. No, Luchetti non e' un sognatore! Non vagheggia di mondi lontani ed ameni. Non racconta di campagne bucoliche scaldate dal sole. O di foreste silvane addormentate languidamente sotto cieli tersi dipinti, qua e la', da poche nuvole cullate dal vento. No, Luchetti non e' un sognatore. Non in quel senso comune, almeno. e' l’odore della trementina a scuoterci. A svegliarci. A ricordarcelo. Intenso e diretto, si insinua tra le nostre narici, lambendo il palato, scatenando motivi dimenticati. La sensazione penetrante della materia pittorica. Dei colori che si mischiano l’uno all’altro. Della tela arrotolata su se stessa: “Quanto tempo, vero? Prima di tornare alla tua forma originaria...”. Fenomeno che, unico e raro al contempo, anti-storico o desueto per tanti, recupera alla mente il ricordo di bottega; e si impone alla vista per le sue dimensioni. Importanti e legittime - ma non potrebbe essere altrimenti. Presenze fisiche che ci invitano a intraprendere un viaggio che di sognato, appunto, ha poco o niente. Calate le ancore, a riposo gli eserciti in attesa di ordini, tra le nebbie di estese pianure e torrioni caduti, vecchi saggi o antiche vestali indicano la via avvolta nella bruma del mare, nella foschia delle terre selvagge. Atmosfere di un Turner nascosto; o di quel grande illustratore che e' stato Cor Blok. Il viaggiatore Luchetti osserva e redige, annota e rielabora: portolani e battaglie, eserciti e flotte alla fonda, sconfitte dal tempo, dagli elementi, dall’attesa. Forse. Ma ancora in viaggio. Rigorosamente ad olio, difficile e lenta come deve essere - narra di mondi terreni ed ultraterreni, vissuti e al di la' del varco, attingendo alla matrice onirica molto meno di cio' che invece si potrebbe pensare. Il viaggio, tema meravigliosamente classico, e' reale e tangibile. Seppur sperduto nella nebbia che avvolge il ricordo così come l’avvenire. Sepolcri di cio' che e' stato e di cio' che invece ancora dovra' essere, Luchetti ha quei luoghi ben impressi nei suoi occhi. E quelli egli dipinge con attenzione puntuale, non lasciando scampo alla sua immaginazione. Poiche' niente esiste, in quelle tele, che lui non abbia vissuto in prima persona. Del resto il viaggio e' solo agli inizi.

ENRICO MATTEI

Viaggio verso l’immortalita’

La ricerca di Massimiliano Luchetti racchiude una visione romantica dell’arte, dalla pittura del romanticismo intesa come espressione di una sensibilita' che si rivolta e si libera delle precedenti regole per ricercare nuove fonti d’ispirazione, in una prospettiva di sensibile soggettivismo. Questo individualismo porta a tradurre innanzitutto stati d’animo, sensazioni interiori: passione, forza, terrore, gusto del mistero e soprattutto del tragico, e amore sempre rinnovato verso una natura vivente, multiforme, generante meraviglia, timore, vertigine. La partenza del concepimento dell’opera nel nostro artista e' questa visione-idea romantica che si concretizza leggermente anche sull’aspetto formale delle tele. Il paesaggio di Luchetti ricorda la visione interiore della pittura di William Turner che nasceva dall’immaginazione intesa proprio come invenzione, le figure che troviamo spesso rappresentate dal nostro artista come silhouette con pochissimi riferimenti di razza o di eta', indicano quella preoccupazione dell’infinito, dei rapporti dell’Io con la natura propri della visione romantica di Caspar David Friedrich che amava porre alcuni personaggi visti di schiena di fronte a paesaggi ampi e struggenti. Senza vedere gli occhi di queste figure, che ritroviamo di frequente nello spazio emozionale della pittura di Luchetti, siamo intimamente coscienti dello sguardo di questo personaggio misterioso perche' e', al contempo, la sua visone e quella del pittore ad essere fatta nostra.
Un’altra caratteristica del suo fare arte e' la particolare concezione della pittura che permea le principali poetiche di tale direzione artistica; il dipingere e' infatti inteso dall’artista, da un lato, come la sensazione di cogliere nell’attimo presente la sintesi delle cose, e dall’altro, come il desiderio urgente di rinvenire l’eternita' in cio' che e' effimero, la perennita' in cio' che e' fuggente. Il quadro, quindi, non e' piu' la registrazione di un avvenimento vissuto nella sua concretezza e materialita', bensì la registrazione di scene quasi immateriali, di sfumature fluide che si fondono in un’armonia generale; ed e' cosi che le scene di Massimiliano Luchetti risultano attraversate da un’indeterminatezza ottica e dai toni accesi, nell’intenzionalita', da un lato di rendere la vibrazione della luce, e dall’altro di far emergere non tanto la densita', quanto la leggerezza e il carattere evanescente delle cose. Un sensualismo la cui unita' di stile e' fondata sull’intuizione personale e su una predilezione oggettiva escludenti precettistiche dottrinarie. La realta' esterna perde ogni potere costrittivo e riesce ad offrire possibilita' infinite d’immaginazione. Tale situazione diventa così, per l’artista, una sorta di inesauribile tastiera musicale, il motivo su cui, nel seguire il proprio cuore, e' libero di improvvisare. La corrispondenza nelle tele rinvenibile fra pittura, letteratura, musica,colori, parole e suoni serve all’artista per tradurre le sensazioni avvertite dall’individuo; in tal senso, il musicista e il poeta paiono “dipingere” cio' che provano e il pittore suggerisce la “musica delle cose”. L’artista pensa alla fine degli oggetti che li hanno portati verso la “morte”. Non che non ci abbia mai pensato ma questa volta lo fa in modo chiaro e diretto. “La morte e' un soggetto straordinario, l’unico che abbia lo stesso peso della vita. Se vuoi parlare della vita devi pensare prima alla morte”, diceva Maurizio Cattelan. Noi esseri umani siamo forse le uniche creature intimamente consapevoli del fatto che dovranno morire, anche quando la morte non e' imminente, questo fa in modo che Luchetti pensi alla creazione come una messa in opera che diventa l’inizio della morte di quell’idea progettuale che esternandosi, prendendo forma e diventando opera d’arte, inizia un suo processo autonomo, una nuova vita; rinascita e consacrazione in una sorta d’immortalita' ottenuta con una pittura senza tempo, in cui le sue visioni immaginarie fanno vivere riferimenti oggettivi che si confondono e si perdono nello spazio infinito delle sue tele. L’arte e' anche questo, la cura artigianale che prolunga l’esistenza in opposizione alla mercificazione diffusa, noi moriremo, ma forse l’arte restera'.

GIOVANNI BOVECCHI

Memorie dell’invisibile

La pittura di Massimiliano Luchetti e' ossessiva, terribile e ansiogena, bellissima e corrotta, purissima e maledetta. Imprevedibile, come lo sono la morte o la nascita della vita. Un mondo con pochi rimandi al reale, o meglio: un mondo reale ormai proiettato verso punti alieni di non ritorno, in bilico su dead lines misteriosamente attrattive. Una pittura elegante con una continua messe di emozioni deliranti e pur soavi, dolci, che avvolgono e spingono dentro profonde visioni ancestrali, accanto ad angosce intime ma anche vicino alle ultime speranze, alle piu' estreme vie di fuga, rapidissime, verso scenari senza tempo, senza luogo, senza memoria, dove tutto rimane, per sempre, come un amore eterno che piu' nulla o nessuno potra' violare.
Nei quadri di Luchetti la natura e' sempre impressionante e mantiene una rigorosa ingenuita' linguistica complicata da una sofisticata espressivita' pittorica ed emotiva come se in lui parlassero due anime: quella di un bambino che sogna ricordi perduti e quella del poeta-guerriero-pirata sempre in fuga alla ricerca di tesori spirituali, di una quiete, oltre ogni apocalisse. E’ un artista estremamente coerente dotato di una cifra stilistica personalissima: i suoi lavori pittorici posseggono un forte comune denominatore che lo rendono riconoscibile pur nella varieta' dei soggetti rappresentati e nell’evoluzione della tecnica pittorica. E’ molto difficile trovare casi di una così persistente coerenza quando si parla di una pittura dell’incombente, di una pittura di spaesamento esistenziale; aspetti questi che rimandano al mysterium fascinans et tremendum della Pittura Romantica. Agisce infatti sulla poesis di Massimiliano quella modernita' cupa che denuncia di per se' quanto ogni progresso sia stato inutile. Un’ala di supremo misticismo si ritrova in questo sorprendente pittore che dipinge spinto da una interiore, irrinunciabile, necessita' di Poesia e di fuga, in cerca di spazi paralleli ove ogni elemento diventi rito, simbolo, porta sacra, estasi, luce o profonda notte, isola o castello incantato, roccaforte o infinito mare ove solo un lontano vascello remoto sia l’ultima salvezza, battaglie silenziose o cimiteri di relitti in acque ferme ed inquietanti, donne che vagano in spazi di sogno, forse amanti che corrono verso un estremo precipizio, coraggiosamente solcato quale soglia dell’eterna resurrezione d’amore od ancora il risvolto simbolico ed esorcizzante della perdita o lontananza di una figura materna. Qui gli elementi nativi dei quadri, i soggetti visibili/invisibili, assurgono a codici metafisici, anzi a vere e proprie chiavi di lettura di una realta'/non-realta' via via sempre piu' in disfacimento, in una pittura che dal materico plastico e rugoso del primo periodo si spinge progressivamente ad un materico sottile e impalpabile, che s’inabissa nella texture della tela: la lenta deflagrazione e' taleche ora solo la esile membrana dell’invisibilita' ha sostituito la densa gravita' di una materia cadente, lacerata dal tempo. Torna in un certo qual modo un’esigenza primaria assoluta, tutta di matrice post-romantica: quella di morire fisicamente nella materia stessa della creazione, di dissolversi con essa in un unico atto creativo giacche' per ogni “poeta” maledetto solo il creatum soggettivo e' vita, unica condizione di rinascita. Potremmo dunque definire Massimiliano Luchetti un poeta onirico, surrealista, metafisico. Un artista utopico? Un visionario borderline? Un artista che inverte i ruoli del rapporto tra figurazione e astrazione ove la figurazione stessa diventi elemento d’appoggio, sostanziale della cosmica apocalissi del reale? Nelle sue prime visioni liminali comparivano gia', quali metafora dell’Oltre, i simboli di un’esistenza in bilico tra luce ed ombra: piccole figure sull’orlo di un promontorio sovrastato da cieli cupi ed immaginari; sagome scure di antichi velieri che solcano mari impenetrabili al limite di un orizzonte inquietante; boschi misteriosi ove un drappo di stoffa rossa rompe cromaticamente con uno sfondo ansioso e tremendo, senza uscita; solitarie dimore ai limiti della collina che ricordano atmosfere di fiaba e paure d’infanzia; alberi segnati da vortici di vento supini alla maestosita' della forza della natura; cavalieri fantasma che improvvisamente appaiono come in un sogno all’apice di una montagna, impermanenti, surreali; anime che vorrebbero attraversare, insieme alle persone amate, in anticipo, il cerchio della vita. Figurazioni che progressivamente si perdono o si isolano maggiormente in spazi ultramondani quasi limbici o prenatali. Una figurazione ramificata e reminescente che aumenta esponenzialmente il grado d’intensita' dell’astrazione in forza di un habitat e non una figurazione “colpita”, soggetta alla perturbazione astrattista. Un ambiente poetico spaesante ove qualcosa di ultraterreno stia per accadere e ove appunto il dato di natura, il reale, sia elemento, medium, necessario. Una pittura distante dell’estetizzante non essendo utile per l’artista la ricerca di uno specifico “effetto edulcorante” sullo spettatore; al contrario una pittura apparentemente casuale, per certi versi non “ricercata” e certamente non inseguente il clamore scenico o ammiccante ad una qualche leziosita' che si vorrebbe desiderata nell’osservatore. Una weltanshauung vicino ad un nichilismo che non nega del tutto il sentimento. Ne siano prova alcune espressivita' “chiariste” non estranee alla poetica dell’oscuro di Luchetti, per il quale la tela e' sempre ultimo altare sacro ove ogni sua opera diventi liturgia del transustanziale e sacrificio estremo.

ALBA ROMANO PACE

Racconti sospesi
«Plus encore que la vie
La mort nous tient souvent par des liens subtils»

Charles Baudelaire- Les Fleurs du mal

Sfilacciati in tocchi di colore, sparpagliati in pigmenti di materia, i baudelairiani «legami sottili» che l’uomo intreccia con la morte si disegnano enigmaticamente nelle tele di Massimiliano Luchetti. Riallacciandosi alla tradizione del simbolismo psicologico che vede in Odilon Redon uno dei massimi esponenti, Massimiliano Luchetti crea un suo universo crepuscolare e notturno, in cui risuonano i racconti di Edgar Allan Poe, i versi maledetti di Una stagione all’inferno di Rimbaud e quelli dei Fiori del male di Baudelaire. Dipinti in uno stile naif, che in alcune tele, e soprattutto negli sfondi, si intensifica in tinte sfuocate o in pennellature rapide e corpose, i quadri di Luchetti raccontano una fiaba, intrisa d’ombra e di mistero. I suoi personaggi vogliono trasportare lo spettatore nei meandri di una dimensione sconosciuta, dove onirismo e realta' si fondono nell’incombenza dell’essere, dell’esistere. «La bellezza sara' convulsiva o non sara'», scriveva Andre' Breton, creatore del movimento surrealista, parlando di quella attrazione inconscia dell’uomo nello scoprire bello cio' che si teme, e nel provare l’ebbrezza dell’attesa del manifestarsi di un evento conturbante.
Racconti sospesi, così si potrebbero definire le immagini di Luchetti. I suoi personaggi sono anime in cerca di avventure, in continuo dialogo con l’aldila'. Non sono corpi, ma spiriti. Figure inconsistenti, trasparenti come gli esseri che fuoriescono dall’acqua nella tela Ouverture. Qui il lungo formato rettangolare accompagna, e prolunga, il viaggio verso l’ignoto di una piccola imbarcazione, lenta e leggera come la navicella di Caronte che trasporta le anime dei morti sullo Stige, il fiume degli inferi. La barca del quadro e' nera ed immateriale, così come incorporea e' la sagoma del conducente o passeggero, che la occupa. Capitani di vascelli fantasma in balia delle onde, cavalieri erranti, ombre blu o rosse, tinta questa ultima che assume per Luchetti una valenza particolare. Simbolo del fuoco e del sangue, il rosso e' per lui il colore della vita. Un nastro rosso legato allo scheletro di un albero indica il passaggio di un essere umano in un luogo desolato, i capelli rossi della Bambina in un bosco di anime, identificano la ragazza come l’unico essere vivente assediato da una danza d’ombre invasate. Nei quadri di Luchetti ogni colore ha un ruolo: il rosso grida, il blu si elettrizza, così come il rosa, tenue o fluorescente, o il grigio metallico, introducono ad una dimensione metafisica. In un paesaggio deserto, una casa rosa o un campo argentato, svelano l’esistenza di un mondo altro, interiore, annunciato gia' dallo strano vento che avvolge quasi tutte le sue composizioni, sconvolgendo i tratti dei personaggi ed i contorni degli oggetti. Le immagini diventano allora delle visioni momentanee, degli evanescenti miraggi pronti a smaterializzarsi, ma che l’artista ha la capacita' di bloccare sulla tela, in un’istantanea che conserva il movimento e la stasi, così da lasciare allo spettatore l’inebriante bellezza convulsiva dell’attesa di un ignoto imminente.

LUCIANO CAVALLARO

Phanein

I greci definivano PHANEIN (da cui il termine fantasia) la capacita' della mente umana di interpretare liberamente i dati dell’esperienza o di rappresentare immagini sue proprie in immagini sensibili. In altri termini cio' significa, che l’intelletto, attraverso l’elaborazione di molteplici linguaggi simbolici, tende a fornire un’adeguata decodificazione della “realta'”(leggi fenomeno) che sia sovrapponibile alla “realta'” stessa. Tali prodotti simbolici, siano essi descrizioni letterarie o poetiche, scientifiche, musicali o figurative, sono sempre il risultato di calibrate scelte selettive ove eccelle la discontinuita' (il connotante) determinata da indizi analogici caratterizzanti. La constatazione della irriproducibilita' sistematica della natura ha prodotto fin dagli esordi del linguaggio, l’idea di arte, inizialmente come puro esercizio dell’intelletto, in seguito come “manifestazione visibile dell’invisibile”, cui l’elaborazione simbolica della materia poteva condurre. Oggi, l’ammissione che mente e materia non possano procedere disgiunte e' un dato acquisito che informa l’operativita' dell’uomo, nonche' l’elaborazione da parte dello stesso di schemi conoscitivi mirati alla decodificazione del cosmo: talvolta pienamente condivisi, tal’altra inedite proposte formali.
Massimiliano, conscio dell’insostituibilita' delle regole grammaticali che stanno alla base di ogni specifico linguaggio, pur cimentandosi nella rappresentazione di rarefatte atmosfere che sembrerebbero fagocitare ogni riferimento percettivo, con sapienti colpi di colore, riconduce sempre lo spettatore sul piano semantico. La pittura di questo giovane artista si rivela così, come manifestazione di un serrato rapporto dialettico fra la materia, quale tramite imprescindibile della percezione, e la struttura recondita a cui la materia stessa si conforma dando luogo ad infinite relazioni significanti. Così, dense spatolate di colore mimano il moto di un mare in tempesta, e lì, la prua di un vascello sembra additare la minacciosita' del cielo come se fosse lo stesso mare, asceso la' con intensificato fragore. Ma la PHANEIN di Massimiliano sa esprimere anche la quiete che ispirano le distanze prospettiche; così nelle sue “Isole” in cui tutto appare come sublimato e carico di promesse (e di ammonizioni) come nell’Aleph di Borges, così nello sguardo, che si percepisce attonito e stupito, di minuti personaggi che dall’alto di rupi dantesche paiono contemplare il sublime. Da quanto sopra, non ci sembra improprio sottolineare che Massimiliano, voglia invitarci ad una riflessione sulla mutevolezza e grandiosita' di quella creazione che una misteriosa intelligenza ordinatrice pare voglia sottoporre alle nostre percezioni, quasi la stessa che Dio Padre biblico richiamo' in tutte le sue varianti alla coscienza del povero Giobbe.

FRANCO SUMBERAZ


Discesa nell’infinito

Quando le porte della percezione si apriranno tutte le cose appariranno come realmente sono: infinite. Così William Blake, profeta, indicava il percorso visionario che Massimiliano affronta in queste opere visitate in un antecedente ciclo. Uscire dalla veste critica, spogliare le parole dalla retorica ormai stanca del peso del voler dimostrare spesso il vuoto di valori perduti, essere osservatori integri, nudi, vedere con gli occhi dell’anima la pittura, il gesto: premesse primarie per “entrare” nel mondo pittorico di Massimiliano. La condizione e rappresentazione della morte, la discesa agli inferi, un aldila' spesso popolato di simboli cruciformi, di cavalli neri, di carri funebri, di vascelli scheletrici nelle tempeste, di scure tonalita' bituminose, alberi solitari spogli, larve di uomo perdute in paesaggi dilatati, una solitudine sgomenta: passaggi obbligati di ogni anima tormentata dalla ricerca di una voce, di una luce, di uno spiraglio di verita'. Negata in questa dimensione temporale ogni risposta, se non la nitida odierna percezione creativa di queste tele ultime che frugano, oggi, nelle impalpabili, misteriose nebbie e trovano presenze di ectoplasmi danteschi, dipinti di nuova vita informale che muovono i primi passi verso la futura, immancabile, certa, immagine antropomorfica: “l’uomo”.